Tasto dolente di ogni transazione nel diritto del lavoro (art. 2113 Cod. Civ.) è rappresentato dalla capacità di creare un equo match tra la volontà di chi rinuncia a far valere propri diritti (quasi sempre, il lavoratore) e chi si obbliga a versare un corrispettivo per ripagare siffatta rinuncia (il datore di lavoro).

Ferma la sostanza che contraddistingue ogni transazione, che di norma dovrebbe essere rimessa alla capacità negoziale delle parti (magari, ma è raro, con l’ausilio dei rispettivi organi rappresentativi, ossia il sindacato e l’associazione datoriale), vi sono specifici requisiti che devono essere rispettati proprio in sede conciliativa, pena l’invalidità e/o inefficacia dell’accordo faticosamente raggiunto.

Il riferimento è, segnatamente, al fatto che: l’accordo transattivo venga stipulato secondo le modalità appositamente previste dal contratto collettivo nazionale applicabile al rapporto di lavoro (in assenza delle quali, o di una loro effettiva previsione, lo stesso non si riterrà siglato “in sede protetta” e non diverrà “inimpugnabile” ai sensi dell’art. 2113, comma 4, Cod. Civ.: così, Trib. Roma, Sez. Lav., sentenza dell’8 maggio 2019, n. 4354); il lavoratore abbia effettivamente beneficiato dell’assistenza di un sindacalista, che abbia spiegato il tenore delle rinunce articolate in sede transattiva (così, Trib. Trani, Sez. Lav., sentenza del 29 marzo 2021; ma v. Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 9 giugno 2021, n. 16154, sulla sufficienza della mera presenza di un sindacalista all’atto della transazione); il corrispettivo offerto sia adeguato rispetto alle rinunce formulate (così, Trib. Milano, Sez. Lav., sentenza n. 577/2015); l’accordo transattivo non contenga formule e/o espressioni generiche con riguardo alle rinunce articolate dal lavoratore.

Orbene, a tutti i suesposti requisiti, sembra essersene aggiunto un altro (o, comunque, sembra essere stato meglio messo a fuoco dalla giurisprudenza), consistente nella consapevolezza del lavoratore sul fatto stesso di operare delle rinunce nei confronti del proprio datore di lavoro e, più precisamente, nella consapevolezza di quelli che sono i contenuti del accordo transattivo.

Due sono i provvedimenti che meritano di essere menzionati al riguardo, emessi il primo dal Tribunale di Milano (sent. 11.11.2022) e il secondo dal Tribunale di Avellino (sent. 8.09.2022), in quest’ultimo caso, tra l’altro, relativamente a un contenzioso patrocinato dallo Studio.

Ebbene, nel primo caso il Giudice meneghino, dopo aver premesso che “la dichiarazione del lavoratore di aver ricevuto quanto a lui spettante a titolo di retribuzioni ed emolumenti vari può assumere il valore di rinuncia e transazione solo se risulta accertato che il dipendente la ha sottoscritta con la consapevolezza dei diritti rinunciati e con il cosciente intento di abdicarvi (Cass. 19 settembre 2016, n. 183219)”, ha peraltro ritenuto che gli accordi transattivi sottoposti al suo esame fossero insuscettibili di determinare alcuna rinunzia da parte dei lavoratori, che li avevano stipulati, nei confronti del proprio datore di lavoro. Ciò in quanto, oltre a essere stati gli “accordi conciliativi … fatti sottoscrivere ai lavoratori in un tempo ridottissimo («cinque minuti»), senza possibilità alcuna di leggerne e comprendere il contenuto”, non era emersa, neppure in altro modo, “la prova dell’effettiva consapevolezza, in capo al lavoratore firmatario, del contenuto e dell’estensione dei diritti dismessi con il negozio transattivo”.

Nel secondo caso, invece, il Tribunale avellinese, dopo aver premesso che “il perfezionamento di un accordo transattivo è comprovabile sulla base dell’interpretazione del documento oppure per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde (Cass. civile sez. lavoro ordinanza n. 558/2021)”, ha evinto “la conferma di voler mettere fine ad ogni controversia attraverso la esecuzione dell’accordo transattivo” dal tenore delle comunicazioni (via email e via Whatsapp) intercorse tra il datore di lavoro e il lavoratore contestualmente allo scambio del testo dell’accordo, e in particolar modo alle frasi proferite per iscritto dallo stesso lavoratore in quell’occasione (e.g.: “appena arriva il bonifico io emetto ricevuta così tu non hai problemi e chiamo l’avvocato per togliere l’impugno del licenziamento. Così non ci sentiamo mai più”), ritenute inequivocabili nell’attestare la consapevolezza circa le rinunzie che stava formulando.

La fattispecie analizzata dal Tribunale di Avellino merita di essere segnalata anche per quanto riguarda l’ulteriore tema di indagine affrontato, ossia la mancata sottoscrizione dell’accordo transattivo da parte del lavoratore. A tal proposito, il Giudice monocratico ha ritenuto che la consapevolezza del lavoratore rispetto ai contenuti dell’accordo non poteva dirsi confutata dalla mancata sottoscrizione dello stesso: le parti, invero, avevano accettato quell’accordo poiché vi avevano dato effettiva esecuzione (i.e.: mediante versamento del corrispettivo pattuito e il suo conseguente incasso da parte del lavoratore), sicché lo stesso non poteva certo essere poi messo in discussione in sede giudiziale.

Come dire: i patti chiari salvano le intese sottostanti.