Il contratto di appalto rappresenta forse lo strumento più utilizzato al fine di “esternalizzare” la realizzazione di un’opera o di un servizio.
Per il tramite del contratto di appalto, infatti, chi affida la realizzazione dell’opera/servizio in commento (committente) può beneficiare del fatto che un altro soggetto (appaltatore) impiega la propria forza lavoro e – talvolta – i propri mezzi al fine di perseguire il risultato pattuito, rispetto al quale si assume altresì ogni rischio.
In questa ipotesi, il committente, liberatosi di ogni incombente circa l’opera/servizio da realizzare, potrà beneficiare direttamente del prodotto finito, assumendo quali unici impegni soltanto quelli di (i) verificare e far correggere eventuali vizi del prodotto; (ii) pagare il compenso concordato (art. 1655 Cod. Civ.).
Nella prassi accade, non di rado, che l’appaltatore (assumendo la veste di subcommittente) affidi, a propria volta, tutto o parte del servizio a un altro soggetto ancora (subappaltatore) che, sulla scorta di un processo del tutto analogo a quello sopra descritto, provvederà – con proprie risorse e mezzi – alla realizzazione dell’opera/servizio oggetto del contratto di subappalto (art. 1656 Cod. Civ.).
In questa ipotesi, gli obblighi già esaminati con riguardo alla posizione del committente graveranno allo stesso modo sul subappaltatore, salvo che non sia stato diversamente pattuito nell’originario contratto di appalto e sempreché il subappalto sia stato espressamente autorizzato dal committente.
Esaminata sotto un profilo strettamente imprenditoriale, la “catena” appena descritta, apparentemente perfetta nella distribuzione del lavoro da realizzare, presenta in realtà non poche criticità con riguardo al compenso dell’opera/servizio da realizzare, e ciò sia sotto il profilo della sua determinazione, sia sotto il profilo della sua effettiva erogazione.
In merito alla determinazione del compenso, può invero capitare che nel contratto di appalto non ne venga pattuita la misura: in tal caso, essa viene determinata dal Giudice Civile (art. 1657 Cod. Civ.), ma sulla scorta di quali presupposti?
La risposta viene fornita da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, ribadendo un proprio vecchio orientamento, secondo cui “l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha … l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, sentenza dell’11 novembre 2021, n. 33575).
Chiaramente, precisano i Giudici di legittimità, tale principio è destinato a valere laddove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltore/dal subappaltatore (perché in tal caso la mancata/errata/incompleta esecuzione dell’opera non determinerà alcun compenso) e sempreché non sia possibile ricorrere a tariffe e/o usi (perché in tal caso l’intervento del Giudice sarebbe superfluo, avendo le parti altri parametri di riferimento).
Tuttavia, anche laddove il corrispettivo sia stato determinato o sia determinabile dal Giudice, ciò non basta a renderlo automaticamente dovuto dal committente all’appaltatore, oppure dall’appaltatore al subappaltatore. Di fatti, è prassi comunemente accettata quella di condizionare il pagamento del compenso al rispetto di una moltitudine di obblighi, tra cui rientra e primeggia il rispetto di ogni e qualsiasi norma di legge e di contratto collettivo con riguardo al pagamento delle retribuzioni, alla regolarità fiscale e alla regolarità contributiva in relazione a tutta la forza lavoro impiegata nell’appalto/subappalto.
Tale clausola costituisce una garanzia che il committente/il subcommittente sono soliti inserire nel contratto di appalto/subappalto, al fine di arginare il loro possibile esborso economico che potrebbe derivare dal coinvolgimento in un’azione di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 ad opera dei lavoratori ingaggiati per l’esecuzione dell’opera/servizio (per quanto concerne le differenze retributive e il TFR) e/o ad opera degli Istituti previdenziali (per quanto concerne i contributi).
Dal punto di vista dei lavoratori, la norma di legge citata ha proprio lo scopo di ampliare la platea di responsabili al fine di garantire il recupero di ogni credito retributivo/previdenziale maturato nel corso dell’appalto, con poche eccezioni (ad es., sono esclusi dall’azione di responsabilità solidale i crediti di natura risarcitoria, anche se di matrice lavoristica). Da qui la necessità per il committente/appaltatore di “correre ai ripari” mediante l’inserimento della suddetta clausola di garanzia nei contratti di appalto/subappalto.
Ciò però non impedisce che l’appaltore/il subappaltatore chiedano, rispettivamente, al committente/al subcommittente il pagamento del compenso pattuito; e non impedisce che quest’ultimi, ricevuta la richiesta di pagamento, si rifiutino di darvi seguito facendo valere l’inadempimento dei primi con riguardo alle menzionate prestazioni retributive e contributive e, quindi, la sussistenza di un rischio che venga esperita la citata azione di responsabilità solidale.
Per i Giudici di legittimità, tuttavia, tale eccezione di inadempimento da parte del committente/appaltatore non è azionabile all’infinito . Di fatti, “l’eccezione inadempimento da parte del committente (ovvero del subcommittente) adducendo la propria eventuale corresponsabilità solidale per crediti lavorativi o previdenziali conseguenti alle prestazioni svolte dagli ausiliari dell’appaltatore ovvero del subappaltatore ai sensi dell’art. 29 co. 2 del D.Lgs. n. 276/2003, non può essere accolta ove, per i crediti lavorativi sia decorso il termine di decadenza applicabile ratione temporis, e ove, per i crediti previdenziali, sia maturato il termine prescrizionale del versamento dei contributi, senza che siano state avanzate richieste di pagamento da parte degli eventuali creditori” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, sentenza del 22 novembre 2021, n. 35962).
Gli orientamenti giurisprudenziali qui esaminati hanno senz’altro il pregio di approfondire una tematica spesso analizzata solo dalla prospettiva dei lavoratori coinvolti nel contratto di appalto e che rivendicano il pagamento della propria attività, e non anche dal punto di vista degli appaltatori/subappaltatori. Soprattutto, hanno il pregio di dare delle coordinate ben precise e di estrema praticità – avendo a che fare con la determinazione e debenza dei corrispettivi dei contratti di appalto/subappalto – che, confidiamo, saranno di grande aiuto per gli operatori del mercato.