A fronte del propagarsi del rischio di contagio da Covid-19, i Ministeri e i vari Organi di Governo, così come le stesse amministrazioni decentrate, avevano invitato la platea degli operatori di mercato e le parti sociali ad adottare ogni tipo di accorgimento che, soprattutto nei luoghi di lavoro (che sono tra i principali luoghi di “contatto interpersonale”), potesse arginare il propagarsi del virus.

A tale scopo, dal proprio canto, i sindacati adottavano, di concerto con il Governo, uno specifico protocollo condiviso per l’arginamento di siffatto rischio, mentre l’Ispettorato Territoriale del Lavoro deliberava che le “misure, comunque adottate ed adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale”, nonché i “DPI ritenuti necessari, in attuazione delle indicazioni nazionali, regionali e locali delle istituzioni a ciò preposte” venissero “raccolte per costituire un’appendice del DVR a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del d.lgs. n. 81/2008” sì da creare una “tracciabilità delle azioni così messe in campo” (cfr. INL, Nota del 13 marzo 2020, n. 89).

Dal punto di vista dell’Ispettorato, dunque, la previsione delle norme anti-Covid, pur non integrando di per sé – almeno non in senso tecnico – un obbligo suscettibile di essere riportato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), dovevano comunque essere contemplate in un’appendice da allegare al medesimo DVR.

Ciononostante, i Tribunali e le Corti italiane sono state chiamate a pronunciarsi sulla eventuale rilevanza e responsabilità penale che la mancata adozione di simili norme potrebbe determinare in capo al soggetto deputato ad adottarle oppure, in assenza di delega, in capo a chi, all’interno della società, ricopre le funzioni e il ruolo di datore di lavoro; ciò a maggior ragione laddove si verifichino contagi sul posto di lavoro.

A tal proposito, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 9028/2022) ha ritenuto penalmente responsabile l’Amministratore Delegato di una società in relazione all’errata valutazione di misure inerenti alla prevenzione di “malattie trasmissibili pandemia Covid – 2019 oggetto del DVR n. 24 del 20/05/2020”. Ciò in quanto la corretta previsione dei rischi, così come l’esercizio dei correlati poteri di spesa, spettava unicamente all’Amministratore Delegato – rivelandosi la delega attribuita, sul punto, ad altro dirigente assolutamente inidonea a deferire queste valutazioni e questi poteri – che, nel caso di specie, li aveva erroneamente esercitati.

Sicché, da mera “appendice” al DVR, la prevenzione dei rischi di contagio da Covid-19 sembra essere diventata, per la giurisprudenza, una condizione essenziale di corretta gestione aziendale.

Solo per completezza, si evidenzia che la mancata predisposizione di misure di contrasto al Covid-19, seppure rilevante – nel senso dianzi esposto – ai fini delle determinazione di eventuali responsabilità penali in ambito di salute e sicurezza, non sembrerebbe essere di per sé determinante ai fini della configurabilità di eventuali responsabilità penali relative ad altre fattispecie di reato, tra cui quello da “epidemia colposa”. Anche su questo punto, infatti, si è già espressa la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 20416/2021), assolvendo l’imputato da tale capo di imputazione e rilevando che “non è da escludere … che qualora l’indagato avesse integrato il documento di valutazione dei rischi e valutato il rischio biologico, ex art. 27 D. Igs. 81/2008, la propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi” (ad es.: mancanza di mascherine sui mezzi pubblici, e così via).