Peculiare è sempre stato, nell’universo del diritto del lavoro, il mondo delle cooperative, la cui matrice mutualistica incide fortemente sulla disciplina sia del rapporto associativo che del rapporto di lavoro, ovvero su entrambi e congiuntamente, laddove si verifichi l’ipotesi del c.d. “socio lavoratore” (cfr. d.lgs. n. 142/2001)
Più peculiare ancora è, peraltro, la gestione dell’esclusione del socio, e ancor più del socio lavoratore, dalla cooperativa, così come gli effetti che siffatta gestione può avere sulla normativa processuale che deve invocarsi nell’uno (cessazione del solo rapporto associativo) e nell’altro (cessazione del rapporto associativo e lavorativo) caso. Ciò soprattutto laddove non è dato ravvisare la sussistenza di due atti gestionali tra loro distinti e separati, vale a dire di una delibera di esclusione, con riguardo al versante associativo, e di un atto di licenziamento, con riguardo al versante lavorativo, prediligendosi – sovente e nella prassi – l’adozione di un unico atto (i.e.: la delibera di esclusione).
In proposito, giova ricordare come, secondo la Suprema Corte di Cassazione, “anche ad ammettere che l’atto di esclusione dalla cooperativa [sia] un atto composito (delibera di esclusione + licenziamento) … comunque la delibera di esclusione [deve] essere impugnata nei termini di legge, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 142 del 2001 innanzi al Tribunale delle Imprese (cfr. Cass. 18.5.2016 n. 10306; Cass. 3.9.2018 n. 21566)”, con la conseguenza che, ove ciò non venga effettuato, sarà esclusa qualsivoglia tutela restitutoria della qualità di lavoratore (sent. n. 8224/2019).
Un altro interessante approdo del Supremo Collegio si registra, poi, con riguardo alla disciplina applicabile in caso di recesso spontaneo del socio (non anche lavoratore) dal solo rapporto associativo (ord. 17667/2022).
A tal riguardo, i Giudici di legittimità si sono premurati di ribadire come sia assolutamente consueto prevedere fattispecie di recesso convenzionale del socio dalla cooperativa, in ossequio del resto a quanto previsto dall’art. 2532 Cod. Civ.. Ed è, però, parimenti consueto che uno statuto non preveda affatto alcun tipo di recesso da parte del socio, oppure che tale recesso sia condizionato a una previa valutazione, che può essere positiva o negativa, da parte dell’organo amministrativo competente.
Sennonché, mentre nel primo caso l’assenza di qualsivoglia disciplina del diritto di recesso – ovvero la sua subordinazione al pieno conseguimento dello scopo mutualistico – è suscettibile di contrastare con l’art. 2437, comma 3, Cod. Civ. (applicabile anche alle cooperative), con conseguente declaratoria di nullità parziale dello statuto, nel secondo caso l’omesso esercizio di tale potere di valutazione e di risposta da parte dell’organo amministrativo è suscettibile di contrastare “con i principi di correttezza e buona fede, che vanno rispettati anche nell’esecuzione del contratto sociale” e di far ritenere avverata, ai sensi dell’art. 1359 Cod. Civ., la condizione legittimamente la risoluzione del rapporto associativo.
Insomma, il silenzio non vale (quasi mai) come risposta negativa, potendo anzi risolversi nell’affermazione del diritto fatto valere dal richiedente.