Una Società intimava un licenziamento per superamento del c.d. “periodo di comporto”, avendo il dipendente superato il limite delle 180 giornate di malattia previste dal ccnl per il settore terziario applicato dall’azienda datrice di lavoro quale limite massimo di conservazione del posto di lavoro. Sennonché, il lavoratore impugnava il licenziamento in questione, sostenendo che, ai sensi del “CCNL Confail Confimea”, il limite in questione non era stato superato, in quanto più alto (pari, esattamente, a 365 giorni). Tale conclusione veniva recepita sia dai Giudici di primo e secondo grado, sia dai Giudici della Corte di Cassazione. Quest’ultimi, in particolare, con sentenza n. 22637 del 2019 hanno sancito che è onere del datore di lavoro dimostrare tutti gli elementi costitutivi del licenziamento per superamento del c.d. “periodo di comporto”, tra cui anche il contratto collettivo in base al quale il comporto stesso è stato calcolato. Nel caso di specie, tale prova non era stata raggiunta, posto che: 1) non era stato prodotto in atti il ccnl per il settore terziario; 2) l’azienda-datrice di lavoro non aderiva all’associazione datoriale di riferimento per il settore terziario (i.e.: Confcommercio); 3) la lettera di assunzione e le buste paga del lavoratore non menzionavano il ccnl per il settore terziario; 4) il “CCNL Confail Confimea” era quello più coerente con l’oggetto sociale dell’azienda datrice di lavoro. Da qui, in conclusione, l’applicazione del “CCNL Confail Confimea” e, a cascata, l’illegittimità dell’impugnato licenziamento.